L’importanza di anticipare il futuro

L’importanza di anticipare il futuro

La storia è testimone di un ricco assortimento di predizioni sbagliate.

Charles Duell, capo dell’ufficio marchi e brevetti degli USA, nel 1899 sosteneva che non ci fosse più spazio per nuove idee perché ogni cosa che poteva essere inventata, era già stata inventata.

Thomas Watson, capo di IBM, nel 1943 riteneva che solo cinque computer sarebbero bastati per le esigenze del futuro mercato dell’informatica e nel 1981 Bill Gates sosteneva che 640k di memoria fossero abbastanza per qualsiasi uso e per chiunque.

Sebbene mi piaccia pensare che l’origine dei future studies debba essere attribuita alla notte dei tempi, nel momento in cui il genere umano ha iniziato ad interrogarsi sull’avvenire, la nascita di questa disciplina sul piano scientifico risale solo alla prima metà del secolo scorso, quando il dipartimento della difesa statunitense ne fece un ampio utilizzo dalla seconda guerra mondiale in poi per anticipare e contrastare le possibili minacce provenienti dalla guerra fredda.

Tali tecniche, denominate ancora oggi “forecasting”, impiegavano dati quantitativi ed econometrici focalizzati su precise tematiche per descrivere uno stato presente ed individuare, mediante l’elaborazione di dati storici, il futuro probabile.

Questo approccio lineare si diffuse rapidamente in ambito aziendale sino al 1973, quando l’embargo dei paesi dell’area OPEC avviò la paralisi della fornitura di greggio per i colossi petroliferi dell’epoca, fatta eccezione per la multinazionazionale anglo-olandese Royal Dutch Shell che aveva iniziato, sin dal 1967, ad acquisire pozzi petroliferi in Sud America e nell’Est Europa per affrontare uno degli scenari descritti dallo studio sul futuro che aveva formulato qualche anno prima dello shock petrolifero.

In quell’occasione, come in altre meno note alle cronache, la sola lente retrospettiva manifestò tutta la sua inadeguatezza perché anticipare il futuro a partire dal passato, anche quando la proiezione viene svolta attraverso il più rigoroso approccio scientifico, si riduce a determinare ciò che si produrrà se il fenomeno studiato resterà immobile, fuori dal tempo.

Così, per limitare la propria esposizione a fenomeni emergenti ed a eventi inattesi, si diffuse nella pratica strategica il “foresight”, termine coniato da Irvine e Martin nel 1984 e definito da Horton a ridosso del ventunesimo secolo come

“il processo che sviluppa un insieme di possibili modi in cui il futuro potrà svilupparsi e che consente di comprenderlo per supportare il processo decisionale di oggi finalizzato a creare il miglior domani possibile”. 

Scevro dalla presunzione di affrontare il futuro basandosi su una sola alternativa possibile, il foresightseeing descrive presenti coesistenti, esplora diversi percorsi possibili costruiti sulla base di trend e di segnali deboli e ipotizza diversi scenari possibili sforzandosi di considerare anche i cigni neri che impattano sia sui presenti che sui percorsi tracciati.

Con il passare del tempo anche il futuro sembra essere invecchiato e, come talvolta accade per le persone, ha inasprito le sue caratteristiche al posto di mitigarle. 

La moltiplicazione esponenziale di segnali deboli da monitorare, trend caratterizzati da cicli di vita sempre più brevi e l’incremento della frequenza con cui si verificano cigni neri sembrano rendere la pianificazione su lunghi orizzonti temporali un esercizio realizzabile solo dalle intelligenze artificiali più evolute. 

Affermava il filosofo e psichiatra Ronald Laing

“Viviamo in un momento storico in cui il cambiamento è così accelerato che cominciamo a vedere il presente solo quando sta già scomparendo”.

Nelle previsioni, la decodifica del genoma umano avrebbe dovuto richiedere cent’anni, ne sono bastati 25. Nel 1975 Jane Bottenstain del CIT & MIT affermava: “Ci vorranno più di 100 anni prima che possiamo decodificare l’intero genoma umano”. Nel 1992 Matt Ridley, biologo e giornalista scientifico, asseriva: “Ci vorranno ancora 30 o 40 anni prima che si riesca a completare il genoma umano”, ma Craig Ventur e Francis Collins dello Human Genome Project ci sono riusciti nel giugno del 2000. 

La trasformazione delle situazioni nelle quali oggi, come individui ed organizzazioni, ci troviamo ad operare, è tanto rapida da poter affermare che il “divenire è in anticipo sulle idee” (Berger 1957) e che le conseguenze delle decisioni prese oggi si produrranno in un mondo completamente diverso da quello nel quale sono state preparate.

Non solo nel mondo attuale la velocità con cui avvengono i fenomeni è sempre maggiore, ma gli effetti del cambiamento sono sempre più forti a causa di una fitta rete di interconnessioni e di interdipendenze. 

Nel romanzo fantastico “Il castello dei destini incrociati” i vari personaggi raccontano la propria storia per immagini, disponendo via via sul tavolo le carte dei tarocchi; così come nell’opera di letteratura combinatoria scritta da Italo Calvino tutte le storie

“nascono da un numero finito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi”,

l’evoluzione di un sistema complesso non è prevedibile, tanto più quando si trova in un istante temporale in cui ogni tarocco può entrare a far parte di molte sequenze, cioè di tanti racconti che interrompono il passato dei protagonisti per sospenderli in un presente instabile e biforcato. 

La biforcazione, più comunemente chiamata “Butterfly Effect”, racchiude in sé la nozione più tecnica di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali ed è il punto in cui un elemento si ramifica, si duplica e si ripartisce in più sotto-elementi attivando una rottura della simmetria che può tendere ancora all’equilibrio oppure al non-equilibrio.

Si ha una biforcazione dunque quando una piccola variazione dei valori dei parametri che regolano il sistema in condizioni di stabilità genera un cambiamento del sistema stesso, tanto che i punti di equilibrio non sono più gli stessi in termini di quantità e/o natura.

Poiché dopo un punto di biforcazione si diramano i futuri possibili, non possiamo fare alcuna previsione se non consideriamo differenti scenari forse improbabili ma non impossibili.

La maggior parte dei fenomeni, nella loro complessità, non è, dunque, pronosticabile: è impossibile prevedere con certezza quale sarà lo specifico stato futuro di un sistema complesso nel quale il cambiamento è interconnesso, accelerato e discontinuno.

Se il futuro non è prevedibile, la competizione si sposta sul piano della percezione del futuro: abbiamo bisogno di dotarci di una persistente consapevolezza e di un set di capacità critiche nell’analisi del futuro perché non siano solo le nostre euristiche a discernere il comportamento migliore tra le alternative disponibili in un momento storico nel quale l’avvenire è un multiplo, indeterminato e aperto a una grande varietà di futuri possibili. 

Eppure, guidati dal nostro confirmation bias, interpretiamo ancora il presente e prevediamo troppo frequentemente il futuro facendo riferimento alle nostre esperienze passate dando maggiore rilevanza agli scenari che confermano la nostra ipotesi di partenza e le nostre convinzioni.

Nella turbolenza, il valore intrinseco delle nostre riflessioni sul futuro non risiede tanto nella correttezza o meno della previsione stessa, quanto dall’utilità dei comportamenti che adottiamo per rispondere all’estrema incertezza dagli scenari improbabili che ipotizziamo di dover fronteggiare.

Alessandro Baricco utilizza la metafora dei barbari per descrivere l’invasione del cambiamento, la rivoluzione del futuro dentro la quale possiamo puntare i piedi, difenderci o resistere aspettando. 

Secondo lo scrittore, la Grande Muraglia insegna che qualsiasi civiltà, nella lotta contro il cambiamento, “finisce per scegliere non la strategia migliore per vincere, ma quella più adatta a confermarsi nella propria identità”. 

La Grande Muraglia, secondo lo scrittore, era stata concepita non tanto per difendere dagli invasori che portavano il cambiamento, ma per costruire un confine della civiltà, per delimitarla: 

“Non difendeva dai barbari: li inventava. Non proteggeva la civiltà: la definiva”.

Ora è inutile sottrarsi alla turbolenza in cui siamo immersi: diventa importante, piuttosto che erigere muraglie su un confine che non esiste, scegliere cosa, del mondo vecchio, si desidera portare fino al mondo nuovo. 

Scrive Alessandro Baricco

“Nella grande corrente, porre in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo”. 

Se è, dunque, impossibile portare nel futuro il passato intatto, è possibile far evolvere il nostro presente per rendere la nostra azione sul futuro plasmante rispetto a quello che prevediamo esso sia.

Bibliografia

Alessandro Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione, Fandango, 2006 

Italo Calvino, Tarocchi. Il mazzo visconteo di Bergamo e New York, Ricci, 1969.

Bubbio A., Dipak P., Agostoni L., Gueli Alletti A., Gulino D., Scenario Planning. Per presagire più che prevedere l’evoluzione di un business, Ipsoa 2014

De Toni A.F., Siagri R., Battistella C., Anticipare il futuro. Corporate Foresight, Egea, 2015

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