Tutto comincia con “l’età dei perché” e chiunque abbia figli o sia particolarmente presente per i propri nipoti, sa che fra i due e i quattro anni, i bambini non smettono mai di domandare.
Diversi studi accademici rivelano che le madri sono sottoposte a una raffica di circa 300 domande al giorno ed addirittura le madri delle bambine attorno ai quattro anni arriverebbero a ricevere sino a 390 domande al giorno, in media una ogni minuto e 56 secondi nell’arco di tempo che intercorre tra la prima colazione e la cena.
La percentuale di domande complesse cresce con il crescere dell’età sino a quando, come sostiene Edgar H. Schein, professore emerito della MIT Sloan School of Management,
“privilegiamo il dire rispetto al domandare perché viviamo in un cultura pragmatica e orientata alla risoluzione dei problemi, che dà valore al sapere e al comunicare agli altri ciò che sappiamo”.
Le domande che comandano sono quelle che ponevamo da bambini quando costruivamo la nostra immagine del mondo.
La curiosità sembra spingere i bambini alla formulazione di quesiti che massimizzano l’apprendimento e facilitano la scoperta di nessi causali: in altri termini, tra diverse domande, la loro curiosità sembra dare più valore agli interrogativi che hanno una maggiore potenzialità di portare a delle scoperte.
Anche il comportamento esplorativo degli adulti sembra seguire schemi costanti ma, a differenza dei bambini, sembra che una delle funzioni chiave delle domande degli adulti sia quella di ridurre il più possibile gli errori di predizione.
Così, quando da adulti incappiamo in qualche fatto che sembra essere incompatibile con le nozioni preconcette riguardo al mondo che ci circonda, tendiamo a indagare il fenomeno attraverso domande che producano risposte idonee a ridurre l’incompatibilità o l’incoerenza di quello in cui ci siamo imbattuti.
Porre una domanda che comanda significa correre il rischio di generare ancora più incertezza delle convinzioni con cui misuriamo la realtà, provare ad entrare nelle aporie, negli universi di non comprensione, negli spazi di contraddizione anche dolorosa.
Le domande che comandano cambiano le cornici entro cui finiscono per essere depositate risposte che già possediamo.
Le domande sono legate all’abilità metacognitiva della “connessione”, cioè la ricerca di collegamenti con le informazioni già in nostro possesso.
Si potrebbe obiettare che ogni informazione con cui veniamo a contatto verrà comunque collegata a ciò che già conosciamo ma se, come sosteneva acutamente lo scrittore Marcel Proust,
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è”,
la potenza delle domande che formuleremo di volta in volta rispetto ad una specifica questione, soprattutto quelle rivolte a tematiche di cui ci riteniamo sufficientemente esperti, ci renderà più o meno protagonisti del nostro viaggio di apprendimento, più o meno capaci di sostituire le cornici che già possediamo con nuovi telai che donino alla nostra conoscenza una nuova luce, ulteriori significati ed inediti utilizzi.
Le domande che comandano generano intuizioni creative
Il potere delle domande che generano nuove intuizioni e distendono nuovi orizzonti a chi non sa verso dove dirigersi nel suo riflettere, è stato esercitato sin nell’antichità dall’arte maieutica di Socrate. Il filosofo si sarebbe comportato come una levatrice, aiutando gli altri a «partorire» la verità attraverso domande e talvolta risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare in sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma.
La domande che comandano possiedono una sorta di sbalorditiva “proprietà catalitica” riscontrabile in chimica quando alcune reazioni che difficilmente avverrebbero, oppure che impiegherebbero giorni o anni per completarsi, possono invece innescarsi e completarsi nell’arco di poco tempo. Poiché, secondo Giorgio Nardone,
“La maggioranza dei problemi non deriva dalle risposte che ci diamo ma dalle domande che ci poniamo”,
solo la qualità degli interrogativi che formuliamo può fortemente influenzare le risposte che troveremo e, quindi, le premesse per il tipo di azione che andremo a compiere o per l’interpretazione che daremo di un fatto accaduto.
Le domande che comandano non richiedono una risposta immediata.
Secondo Martin Heidegger la risposta è solo l’ultimissimo passo del domandare e una risposta che congeda rapidamente il quesito a cui replica non è in grado di fondare alcuna evoluzione, ma può solo consolidare il mero opinare.
Le domande che comandano possiedono un valore intrinseco che esula dalla risposta correlata perché, a volte, la forza di un interrogativo è quella di piantare dei semi nel nostro inconscio affinché possano fiorire nel tempo e cedere il frutto di quello che hanno di più essenziale: il dubbio.
Nicolás Gómez Dávila ha affermato che per le scienze sarebbe grave se si perdessero le risposte, per la filosofia se si dimenticassero le domande.
Mentre concludo questo articolo penso a quale, tra le due privazioni, preferirei affrontare nel momento in cui dovessi scegliere forzatamente: resto incerto nel fornire una risposta convinta ad un dilemma generato da un quesito semplice ma non banale come solo le domande che comandano sanno essere. Sono in attesa di un’epifania.
Bibliografia
Schein E., L’arte di far domande. Quando ascoltare è meglio che parlare, Guerini 2014
Berger W., A More Beautiful Question, Bloomsbury Publishing, 2014
Ryan J.C., Wait, What? And Life’s Other Essential Questions, Harper One, 2017
Cornoldi C., Metacognizione e apprendimento, il Mulino, Bologna,1995.
Giovannini L., Il potere delle domande, Sperling & Kupfer, 2014
Livio M., Curiosi, L’arte di fare le domande giuste nella scienza e nella vita, Rizzoli 2017