I fisici dicono che il tempo non trascorre, il tempo semplicemente è.
Abituati a rappresentarlo, nella tradizione occidentale, attraverso una linea retta che dal passato avanza verso il futuro passando per il presente, il tempo è raffigurato dalla scienza come una complessa collezione di strutture coniche e di strati unici per ordine, durata e ritmo degli eventi in esse contenuti.
Cosi come ogni essere umano ha degli antecedenti, dei discendenti e altri individui che non fanno parte di quell’insieme parzialmente ordinato dalla relazione di figliolanza, ogni evento ha il suo passato, il suo futuro e una parte di universo che non gli appartiene né in termini di passato, né di futuro.
Scrive Carlo Rovelli:
“A livello fondamentale il mondo è un insieme di accadimenti non ordinati nel tempo. Questi realizzano relazioni fra variabili fisiche che sono a priori sullo stesso piano. Ciascuna parte del mondo interagisce con una piccola parte di tutte le variabili, il cui valore determina lo stato del mondo rispetto a questo sottosistema”.
Ogni punto dello spazio ha un tempo proprio, come è possibile verificare, attraverso cronografi molto precisi, misurando le differenti velocità con cui il tempo scorre in montagna piuttosto che in pianura o persino quando gli strumenti di misurazione si trovano a pochi centimetri di dislivello l’uno dall’altro.
La velocità poi rallenta o, più precisamente, dilata il tempo come è stato misurato per la prima volta negli anni settanta portando a bordo di aerei a reazione orologi scientifici che perdevano alcuni nanosecondi rispetto a quelli di egual calibro collocati a terra.
La nozione di “adesso”, secondo il matematico Kurt Gödel, non è niente di più che una certa relazione di un certo osservatore con il resto dell’universo; persino quando guardo i miei figli giocare nella stessa stanza in cui mi trovo, ricevo e processo, attraverso la luce che colpisce i loro corpi, le informazioni di qualche miliardesimo di secondo prima.
Il nostro “presente” è una bolla in cui siamo immersi, la cui estensione dipende dalla precisione con cui misuriamo il tempo; nell’ordine elementare delle cose descritto dalla gravità quantistica, la disciplina che studia le unità minime dello spazio e del tempo, esiste un intervallo di tempo così infinitesimale che rende la nozione di durata inesistente.
Sebbene i meccanismi neuronali alla base della nostra capacità di percepire il tempo rimangano in gran parte sconosciuti, è stato ampiamente documentato da numerose ricerche che l’esperienza del tempo è creata dalla mente e che tale abilità è inestricabilmente legata alle fluttuazioni dello stato della coscienza.
Ed ancora, la parziale coincidenza tra le zone del cervello che riconoscono le emozioni e il tempo rende indissolubile il rapporto tra gli stati d’animo che sperimentiamo e la nostra capacità di gestirlo.
Alla base di questo meccanismo biochimico c’è la dopamina, il neurotrasmettitore associato alle sensazioni del piacere, la cui inibizione o attivazione temporanea influenza i nostri orologi biologici abbassando o accelerando la percezione del tempo che passa.
Come hanno dimostrato numerosi esperimenti, non è necessario che l’emozione spiacevole che proviamo sia particolarmente intensa affinché questo meccanismo neurologico si attivi influenzando la durata percepita di uno specifico evento.
Jean Twenge dell’Università di San Diego ha coinvolto un gruppo di partecipanti in un esperimento così congegnato: ai soggetti è stato detto di fare conoscenza, raccontando episodi umoristici. Successivamente, i volontari sono stati informati che, poiché il lavoro si sarebbe svolto a coppie, avrebbero dovuto segnare su un foglio i nomi di 2 persone con le quali sarebbe loro piaciuto lavorare.
I volontari sono stati, poi, chiamati a uno a uno. A metà di loro è stato raccontato che erano stati scelti da tutti e che non si era riusciti a formare delle coppie; a metà degli altri è stato detto che nessuno li aveva scelti, che questo non era mai successo e quindi era meglio che lavorassero da soli.
Tutti hanno poi compilato singolarmente un breve questionario.
Le persone a cui era stato riferito che piacevano a tutti valutarono che il test fosse durato 42,5 secondi (in media); mentre chi era stato rifiutato valutò la durata di 63,6 secondi circa, quasi un terzo del tempo in più.
Come possiamo controllare, dunque, il tempo o, più precisamente, la percezione che abbiamo di esso?
Se è la spiacevolezza delle emozioni di cui facciamo esperienza che etichetta il tempo a nostra disposizione come un ostacolo o una minaccia, per migliorare il nostro time management dobbiamo sviluppare ed allenare la nostra intelligenza emotiva, con specifica focalizzazione alla capacità di metterci nello stato emozionale più adatto a svolgere quello specifico compito rispetto al quale il tempo sembra essere un nemico.
Il primo passo di questo processo trasformativo è necessariamente legato alla comprensione della miscela di emozioni che proviamo rispetto a quell’attività.
Questa metacognizione, semplice da descrivere ma per niente banale da praticare, necessita in primo luogo che venga abbandonato un approccio autovalutativo e, in seconda battuta, che vengano esplorate le emozioni meno ingombranti di quella prevalente ma, non per questo, meno ricche di informazioni a cui possiamo attingere.
Secondo le ricerche condotte da Six Seconds, la verbalizzazione delle nostre emozioni consente la disattivazione delle attività dell’amigdala, il nostro grilletto neurale che reagisce agli stimoli giudicati come pericolosi, a favore della riattivazione della parte neo corticale del nostro cervello, per riportare in equilibrio la parte razionale e la parte emotiva.
Così, interrompendo il ritmo del ciclo incrementale che produce la sensazione di non avere tempo, riduciamo la reattività dei nostri comportamenti recuperando la capacità di leggere i dettagli della situazione codificata come pericolosa e la capacità di formulare soluzioni adattative meglio calibrate.
Riportando in equilibrio la parte razionale e la parte emotiva possiamo attivare refraining della nostra prospettiva: così come il coraggio è la capacità di utilizzare le informazioni veicolate dalla paura, siamo ora nella condizione biochimica di scegliere, tra le emozioni più silenziose, quella che più si addice ad essere la risorsa strategica attraverso la quale riappropriarci dell’illusione di controllare il tempo.
Albert Einstein qualche anno fa scrisse:
“Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che facciamo mentre passa”
ed io oggi credo che allenando la nostra intelligenza emotiva si possa aggiungere che il suo valore è dato dall’emozioni con cui scegliamo di percepire il suo fluire nel nostro presente, di guardare il passato ed infine di immaginare il futuro.
Bibliografia:
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi Edizioni, 2017
Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, 2014
Joshua Freedman, Intelligenza emotiva al cuore della performance, Six Seconds, 2018
Pert B. Candace, Molecules Of Emotion: Why You Feel The Way You Feel, Simon & Schuster, 1999
Daniel Goleman, Lavorare con intelligenza emotiva, BUR, 2000