In “De recta ratione audiendi”, il filosofo Plutarco afferma che l’ascolto è una delle pratiche fondamentali per il conseguimento di quella conoscenza di sé che è a sua volta la premessa per liberarsi dalle inquietudini e pervenire alla serenità interiore.
L’opera nasce come monito ad un ragazzo, Nicandro, che ha appena terminato il ciclo di quelli che oggi chiameremmo gli studi secondari e s’avvia a frequentare le aule dove insegnano i filosofi.
Il cambiamento per il giovane si preannuncia radicale perché lo sfida alla messa a frutto dell’improvvisa libertà di cui gode, non avendo più un maestro di scuola che richiama la sua attenzione o un preciso programma da imparare: gli si dischiude un mondo completamente nuovo, in cui si po’ anche celare qualche insidia.
A quei tempi, i filosofi tenevano vere e proprie conferenze pubbliche dove esponevano i propri convincimenti e le proprie riflessioni su temi prevalentemente morali, prendendo spunto da un testo o da qualsiasi altra occasione contingente; durante questa esperienza di apprendimento il maestro sollevava un topic e invitava gli studenti a esporre ad alta voce le loro riflessioni sull’argomento o confessare le proprie eventuali debolezze, assumendo con il suo intervento il ruolo di guida spirituale e terapeuta delle coscienze.
Nicandro, dunque, deve imparare ad ascoltare per poter trarre il massimo profitto dalle parole che ascolta e saperne al tempo stesso distinguere il reale valore.
Plutarco ammonisce Nicandro affinché agisca un ascolto efficace per sottoporre al vaglio costante della ragione ogni affermazione dei suoi mentori per evitare il rischio, comune negli uomini, di accogliere anche ragionamenti falsi e cattivi per simpatia o fiducia nei confronti di chi parla.
Quanto tempo abbiamo dedicato ad allenare l’ascolto in modo strutturato nell’ultimo anno?
Sia esso un corso di comunicazione interpersonale, di vendita o più genericamente un’esperienza di apprendimento dedicata allo sviluppo delle soft skills, la capacità di ascolto è frequentemente trattata come uno snodo chiave di un programma didattico e troppo raramente come una competenza a cui dedicare un intero investimento formativo.
Eppure, il ritmo accelerato a cui sono scambiate le informazioni all’interno e all’esterno delle organizzazioni richiede che le persone ascoltino in modo efficace per evitare errori, equivoci e inesatte interpretazioni.
In genere, si pensa che ascoltare sia fondamentalmente la stessa cosa di sentire, equivoco pericoloso che ci porta a credere che ascoltare in modo efficace sia un fatto istintivo, mentre diversamente è una vera e propria competenza da sviluppare con energia e disciplina.
Straordinariamente attuale è il passaggio del “De recta ratione audiendi” che recita:
“I più invece, a quanto ci è dato di vedere, sbagliano perché si esercitano nell’arte del dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dell’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi s’accosta in modo improvvisato”.
Secondo la neurobiologia, l’ascolto inizia molto prima della coscienza e della consapevolezza che possiamo avere di una certa situazione.
Sebbene siamo ancora piuttosto lontani da una conoscenza completa di tale tematica, i ricercatori hanno accertato che ascoltare è la funzione che impegna attivamente più di altre il nostro apparato neurale in un’azione di monitoraggio e scandaglio di ciò che accade intorno e dentro di noi, per raccogliere stimoli da trasformare in risposte adattative.
Differenti ed eterogenee strutture neurali, per funzione e scopo, sono perennemente vigili nell’ascoltare e nell’impossessarsi di ciò che ci circonda e ci coinvolge direttamente e indirettamente.
Agli inizi degli anni novanta, un gruppo di ricercatori ha scoperto un’originale tipologia di cellule neurali, poi chiamate neuroni a specchio, il cui compito è di tradurre ciò che accade all’esterno, attivando nel cervello le stesse strutture neuronali che verrebbero utilizzate se si facesse o vivesse ciò che viene osservato.
I neuroni specchio si trovano nelle aree del cervello dedicate all’azione corporea e motoria e non nelle funzioni neurali della riflessione e della coscienza. Sicché, attraverso lo studio dei neuroni a specchio, si è scoperto che le parti del cervello considerate esecutive, sotto la regia della coscienza, in realtà possiedono una propria autonomia nel percepire e nel comprendere il mondo e quel che si vive.
Quando descriviamo ciò che abbiamo sentito o visto, in realtà il nostro cervello ha già fatto un considerevole lavoro di scelta e di interpretazione senza che ne siano stati consapevoli e ci consegnano alla coscienza un elaborato già filtrato e adattato.
Quali sfide ci pone l’esercitazione della nostra capacità di ascolto?
L’ascolto è legato al presidio della nostra sopravvivenza perché contribuisce ad accertare la natura della realtà che ci circonda per stabilire le modalità appropriate di relazione, di governo delle minacce e di gestione della realizzazione dei nostri bisogni.
La nostra mente è sempre incessantemente impegnata, per lo più inconsapevolmente, attraverso i suoi vasti sistemi neurali dedicati alla percezione, a ricevere e catturare il mondo esterno e a trasformare le informazioni acquisite in strategia di sopravvivenza.
Spontaneamente ascoltiamo il mondo non per conoscerlo ma per sapere come affrontarlo, per sapere cosa temere o capire quando poterci fidare, per trovare la conferma di chi pensiamo di essere o per trovare soluzioni che già possediamo, per avere la rassicurazione di aver capito o per evitare lo smarrimento di non sapere.
Quando ascoltiamo impulsivamente ed emotivamente non siamo guidati dal bisogno di avere una conoscenza della realtà, insomma, ma dal bisogno di trovare risposte alla difesa della nostra sopravvivenza.
Come allenare dunque la capacità di ascolto nella sua forma più pura?
Poiché il cervello tende a risparmiare energia anche attraverso la riduzione del ricorso allo sforzo della coscienza, sviluppare le proprie capacità di ascolto richiede di mettersi alla guida delle propria mente per ignorare i segnali acustici che riconosciamo confortanti e sicuri.
Per allenare questa competenza, dunque, possiamo illuminare, come il cono di luce generato da un faro, gli stimoli sensoriali sconosciuti alla nostra coscienza ma non al nostro apparato neurosensoriale attraverso alcuni semplici esercizi.
- Shh!! Adesso parla… –Dedichiamo tre minuti della nostra giornata alla capacità di restare in silenzio. Una volta terminato questo warm up, individuiamo un singolo suono estrapolato dal mix di rumori che ci circondano per cercare di capire dove è la sua fonte e a quale distanza si trova da noi.
- Mixer – Poniamoci ad ascoltare in un ambiente qualsiasi con l’obiettivo di distinguere il maggior numero di suoni individuali che compongono il mix in cui siamo immersi per allenare la capacità di focalizzare la nostra attenzione su specifici canali, isolandoli e isolandoci da tutto il resto.
- Posizioni d’ascolto:Sperimentiamo il rapporto causa effetto tra le emozioni che proviamo e la posizione del nostro corpo attraverso la quale ascoltiamo, per aumentare il controllo delle posture che favoriscono la nostra concentrazione ed utilizzarle in modo funzionale.
“La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno.”
– Zenone, filosofo greco
Bibliografia:
Angela Gallo, Maurizio Di Feo, Parlami, capo…, Franco Angeli, 2017
Madelyn Burley-Allen, Imparare ad ascoltare, Franco Angeli, 2013
Gian Maria Zapelli, L’ascolto persuasivo, Franco Angeli, 2015
Plutarco, L’arte di ascoltare, Oscar Mondadori, 2000